Ci dobbiamo fidare del rivenditore oppure ci sono dei parametri oggettivi per valutare la qualità di una proteina?
La qualità di ciascuna proteina può essere valutata attraverso diversi sistemi di classificazione. Fra questi troviamo principalmente:
Valore biologico (VB)
Rapporto di efficienza proteica (PER)
Utilizzazione proteica netta (NPU)
PDCAAS (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score)
DIAAS (Digestible Indispensable Amino Acid Score)
Va fatto però una precisazione in genere questi parametri (in particolare gli ultimi due) considerano la proteina dell’ alimento, e non una materia prima proteica base per gli integratori, quindi se qualcuno vi dice che la propria proteina ha un alto DIAAS o PDCAAS fatevi immediatamente mandare la documentazione e giratemela che sono proprio curioso di vederla. Si tratta di analisi complessissime e costose (come capirete in seguito) che gli organismi mondiali come FAO e WHS utilizzano per capire il valore nutritivo di determinate proteine per valutarne l’impatto sulle popolazione e stato di nutrizione della stessa. Quindi non sono analisi possibili per gli integratori proteici , sia per il costo ma anche perché il loro orientamento sarebbe generale, non si potrebbero ripetere per ogni singolo lotto, quindi l’incertezza sulla qualità permarrebbe. Di più semplice applicazione possono sicuramente esserci il VB( il valore biologico) .
Valore Biologico (VB)
Il valore biologico o Biological value, è un parametro di valutazione degli alimenti che dipende dalla composizione amminoacidica di un alimento e dalla sua digeribilità. Infatti esso rappresenta la frazione di amminoacidi assorbita dall’intestino che viene trattenuta dall’organismo. Tale parametro esprime il rapporto fra l’azoto trattenuto dall’organismo e quello assorbito (Figura 10). Non bisogna confondere azoto assorbito da quello ingerito con la dieta.
Figura 10: formula valore biologico (rielaborato da Brody, 1999)
Nella formula, il valore delta riportato per le feci e urine, rappresenta la differenza fra l’azoto fecale o delle urine e l’azoto metabolico presente nelle feci o urine, ovvero la quantità di azoto misurata senza aver apportato alimenti che lo contengono (Hegsted, 2005).
Il valore biologico dipende dalla presenza totale di amminoacidi essenziali, infatti gli alimenti animali come latte, uova, carne, pesce hanno un valore biologico maggiore rispetto alle fonti vegetali, tanto che le proteine derivate da essi vengono definite complete. Questo deriva dal fatto che la composizione amminoacidica delle fonti animali si avvicina a quella della proteine sintetizzata dall’organismo umano, rispetto alle proteine vegetali che spesso sono carenti di uno o più amminoacidi essenziali: la soia per esempio è carente di metionina. Tale carenza fa sì che il valore biologico sia più basso. Nonostante ciò, il valore biologico presenta dei limiti come metodo di classificazione perchè non considera per esempio l’interazione con altri alimenti prima dell’assorbimento (Hoffman e Falvo, 2004).
Rapporto di efficienza proteica (PER)
Il Rapporto di Efficienza proteica, dall’inglese Protein Efficency Ratio (PER), determina l’efficacia di una proteina attraverso la misura della crescita degli animali. Tale indice è stato misurato specificamente nei ratti dove è stato individuato il rapporto fra l’aumento di peso in grammi e grammi di proteine consumate (Figura 11). Poiché il valore PER nei vari laboratori sperimentali non era costante per la stessa proteina, è stato posto come valore corretto un PER di 2,50 per la caseina. La caseina rappresenta dunque la proteina di riferimento del metodo PER. Il risultato calcolato per una proteina generica viene quindi confrontato con un valore di 2,5 che è il valore standard della caseina (Hegsted, 2005). Un PER di 2,5 significa che 1g di caseine promuove il guadagno di 2,5g di peso corporeo. Qualsiasi valore che supera 2,5 è considerato come una fonte eccellente di proteine. Tuttavia, questo calcolo fornisce una misura della crescita nei ratti e non prevede una forte correlazione alle esigenze di crescita degli esseri umani (Hoffman e Falvo, 2004).
Figura 11: formula Rapporto di efficienza proteica (rielaborato da Brody, 1999)
Uno studio condotto sempre sugli animali, ha evidenziato inoltre il fatto che la combinazione di proteine animali al 30% e vegetali al 70% garantisce un aumento dell’indice PER rispetto al consumo non abbinato delle due fonti proteiche. Tutto ciò può essere attribuito al fatto che la complementarietà aumenti la qualità proteica in quanto si riduce l’impatto dell’amminoacido limitante che contribuisce negativamente sull’effettivo apporto proteico da assumere (Hernandez, et al., 1996).
Utilizzazione proteica netta (NPU)
L’indice NPU (Figura 12) è simile al valore biologico tranne per il fatto che si tratta di una misura diretta della percentuale di azoto che l’organismo conserva. L’utilizzazione proteica netta e il valore biologico misurano lo stesso parametro di ritenzione di azoto, tuttavia la differenza sta nel fatto che il valore biologico viene calcolato in base all’azoto assorbito mentre NPU considera l’azoto ingerito (Hoffman e Falvo, 2004).
Figura 12: formula utilizzazione proteica netta (rielaborato da Brody, 1999)
Anche questo parametro ha dei limiti perché è stato convalidato su ratti da laboratorio e non sull’uomo.
PDCAAS (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score)
Nel 1989, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), adottarono il metodo PDCAAS per valutare la qualità di una proteina. La formula del valore degli amminoacidi corretto per la digeribilità delle proteine (Figura 13) esprime il rapporto tra il contenuto del primo amminoacido limitante essenziale in 1g di proteine testate e il contenuto dello stesso amminoacido in 1g di proteina standard. Successivamente, il risultato ottenuto viene moltiplicato per 100 e corretto per la vera digeribilità fecale della proteina, misurata attraverso test di laboratorio sui ratti. La proteina standard è in realtà un modello amminoacidico ideale basato sui requisiti dei singoli aminoacidi essenziali del bambino in età prescolare (2-5 anni) dove i fabbisogni sono massimi. Come riferimento si è scelto di considerare dunque un pattern amminoacidico e non una proteina esistente come quelle dell’uovo o del latte (Schaafsma, 2000; Hoffman e Falvo, 2004).
Figura 13: formula PDCAAS (%) (rielaborato da Schaafsma, 2000)
Il più alto valore di PDCAAS è 1,0 mentre il più piccolo è 0; punteggi al di sopra di 1,0 vengono arrotondati a 1,0. Ogni proteina con valore di 1,0 è considerata completa per l’uomo perchè fornisce il 100% o più degli aminoacidi essenziali richiesti. Sebbene il PDCAAS sia uno dei metodi più accettato e diffuso per la misura della qualità proteica, esistono alcuni limiti relativi a:
– Influenza di digeribilità ileale. Gli amminoacidi che proseguono oltre la parte ileo terminale possono essere espulsi attraverso le feci o assorbiti dai batteri della flora intestinale al posto di essere utilizzati per la sintesi proteica;
-Fattori antinutrizionali come gli inibitori della tripsina, lectine e tannini, presenti in alcuni fonti proteiche come la farina di soia, piselli e fave, sono stati segnalati per aumentare le perdite di proteine endogene nel tratto ileo terminale. Questi fattori antinutrizionali possono causare ridotta idrolisi delle proteine e ridotto assorbimento di amminoacidi;
-Biodisponibilità delle proteine. Essa può dipendere da tantissimi fattori come l’effetto matrice (se rompo la matrice del grano passando a farina, la disponibilità aumenta), processo tecnologico (una giusta cottura può aumentare la digeribilità di una proteina; se è eccessiva di temperatura o di tempo, la peggiora), reazioni di Maillard, ossidazione degli amminoacidi solforati, presenza di fibra che rende più o meno accessibile la molecola proteica ai processi di digestione e assorbimento;
– Sovrastima negli anziani (probabilmente correlata a valori di riferimento basati su individui giovani);
– Punteggio: vi possono essere proteine con valori più alti di 1,0 ma essi vengono arrotondati come tali. Considerare il punteggio in base all’amminoacido essenziale più basso risulta essere un limite perché si potrebbe avere una sovrastima di alcune proteine e una sottostima di altre. Così facendo proteine isolate della soia e latte hanno il medesimo punteggio PDCAAS però gli apporti di amminoacidi essenziali sono diversi.
DIAAS (Digestible Indispensable Amino Acid Score)
Il DIAAS, la cui formula è proposta in (Figura 14), rappresenta una nuova misura della qualità delle proteine consigliata per sostituire il PDCAAS.
Figura 14: formula DIAAS (%) (rielaborato da FAO, 2013)
Secondo la FAO, il nuovo metodo è scientificamente migliore del precedente perché misura la digestione accurata degli aminoacidi, piuttosto che i livelli di proteina grezzi misurati dal PDCAAS, e soprattutto con il DIAAS viene superato il limite di 1,0 come punteggio. Di seguito tutte le differenze (FAO, 2013):
– Il PDCAAS calcola la digeribilità di una proteina guardando i livelli di proteine rimanenti nella materia fecale, mentre il DIAAS valuta la digeribilità dalla fine dell’intestino (o ileo) così da fornire una misura più accurata. La precisione migliora perchè le feci contengono anche proteine endogene, quali secrezioni digestive, muco, cellule e batteri che hanno un impatto sulla misura;
-Diversamente dal PDCAAS, il DIAAS misura la digeribilità dei singoli aminoacidi, piuttosto che la digestione delle proteine grezze; Il metodo DIAAS descrive più accuratamente il valore delle fonti proteiche perché non limita i punteggi ad un massimo di 1,0. Il DIAAS infatti riconosce il valore degli amminoacidi in eccesso in un alimento o ingrediente nel contesto dell’intera dieta. Tale eccesso infatti può compensare altre fonti proteiche nutrizionalmente incomplete come legumi e verdure. Troncando il punteggio a 1,0 il PDCAAS ha fatto sì che le fonti superiori di proteine come il latte venissero nutrizionalmente sottovalutate;
-Al denominatore, il PDCAAS presenta la “proteina standard” costituita da un insieme di aminoacidi essenziali studiati per soddisfare le esigenze del bambino di età compresa fra i 2-5 anni; nella formula del DIAAS invece si differenziano le esigenze di neonati, bambini, adolescenti e adulti con tre modelli di riferimento, ovvero 0-6 mesi, 6 mesi-3 anni, oltre 3 anni.
Di seguito (Tabella 18) viene proposta una tabella con gli indici di qualità trattati (VB, PER, NPU, PDCAAS, DIAAS) applicati ad alcuni alimenti.
Tabella 18: indici VB, PER, NPU, PDCAAS, DIAAS di alcuni alimenti
ALIMENTO |
VB |
PER | NPU | PDCAAS |
DIAAS |
Caseina |
77,0 |
2,5 | 76,0 | 1,00 |
/ |
Frumento |
64,7 |
0,8 | 40,3 | 0,42 |
0,43 |
Latte vaccino |
91,0 |
3,1 | 82,0 | 1,00 |
1,32 |
Manzo |
80,0 |
2,9 | 73,0 | 0,92 |
1,10 |
Riso |
64,0 |
1,5 | 57,2 | 0,47 |
0,60 |
Sieroproteine |
104,0 |
3,2 | 92,0 | 1,00 |
1,25 |
Soia proteine |
74,0 |
2,2 | 61,0 | 1,00 |
1,00 |
Uova |
100,0 |
3,1 | 94,0 | 1,00 |
1,18 |
Concludendo pur essendo l’ultimo metodo eccellente, rimane del tutto impraticabile per una valutazione oggettiva di una singola proteina di una determinata azienda. Ci può dare una visione più ampia, come si può vedere dalla tabella e ci fa capire quale può essere la proteina migliore raffrontata alle proteine modello.
Per una considerazione più pratica e realizzabile si può fare un aminogramma ottenuto per IEC (cromatografia a scambio ionico): questo tipo di analisi da sicuramente dei valori oggettivi su cui fare delle valutazioni, in modo molto più preciso dell’analisi ufficiale kjeldahl, che come abbiamo già visto (vedi articolo clicca qui ) può addirittura non dare il titolo proteico reale, e fare si che un integratore con il 45% di proteine “vere”e altre sostanze azotate non proteiche risulti all’analisi con un titolo proteico dell’80%. Inoltre dall’analisi IEC si può valutare in base all’aminogramma la veridicità della fonte, comparandoli agli aminogrammi di proteine standard di riferimento (soia , siero, caseina ecc). Va detto però che quest’analisi è cromatografica comunque costosa e non viene fatta sui singoli lotti ma sulla formulazione base, quindi buona parte degli aminogrammi presenti sulle etichette dei vari integratori non fanno riferimento al lotto specifico, ed in alcuni casi neanche alla proteina base, ma sono semplicemente gli aminogrammi standard delle proteine del latte in generale e non riferita a quella proteina in particolare e tanto meno al lotto. Farsi fare una dichiarazione firmata dall’azienda che produce l’integratore che nel prodotto non sono state aggiunte altre fonti azotate (come aminoacidi per es) sia in forma diretta che indiretta (cioè tramite brevetti, sigle strane ecc.) è sempre un ottimo modo per capire se almeno il titolo proteico è reale e se dentro c’è azoto proteico o proveniente da altre sostanze; dopo di che avere l’aminogramma del lotto singolo, con tanto di laboratorio dov’è stata eseguita sarebbe veramente il massimo, ma posso comprendere che questo per le aziende comporterebbe dei costi molto alti.
dott. Enrico Veronese biologo nutrizionista visita il blog clicca qui